Il nome non è stato mai pronunciato esplicitamente, ma il ministro Matteo Salvini è stato il convitato di pietra nel dialogo a porte chiuse tra il Papa e i vescovi della CEI in Vaticano. Allusioni e rimandi a temi come la chiusura verso i migranti, i sentimenti di nazionalismi e populismo, preludio dei totalitarismi, le strumentalizzazioni della religione e dei valori cristiani, sono stati al centro delle 12-13 domande che i presuli italiani hanno posto al Papa. E Francesco ha risposto «con naturalezza», «da pastore» e «senza entrare nel merito di questioni politiche», spiegano alcuni vescovi a Vatican Insider.

Neppure un cenno ai fatti di sabato pomeriggio a Milano, dove al convegno del vicepremier si sono sentiti pure fischi contro il Pontefice. Su questo punto - definito «una vergogna» da più di un membro Cei - si registrano solo le parole di incoraggiamento del cardinale presidente Gualtiero Bassetti: «Santità, le siamo vicino e le ribadiamo il nostro sostegno in questo momento in cui soffiano venti contrari».

Bergoglio ha annuito e ha chiesto ai vescovi un dialogo franco ma soprattutto breve perché aveva due impegni in agenda. In effetti il colloquio, rispetto alle tre ore dello scorso anno, è durato poco più di un’ora e mezzo. 

In particolare è stata l’Europa uno dei temi centrali affrontati dal Papa, in vista anche delle elezioni di domenica prossima. Dobbiamo «salvare la comunità europea», ha esortato il Pontefice, lamentando questa Europa «chiusa» in cui si sta seminando dappertutto la paura. Stiamo attenti, ha avvertito, ribadendo un monito espresso già in diverse occasioni, perché continuando sulla strada della difesa dei confini e dell’identità di una nazione si rischia di finire come nel 1933 in Germania, con l’ascesa di Adolf Hitler al potere e l’inizio del Terzo Reich.

 

Per il Papa quello che oggi «manca» nel vecchio continente è il dialogo, mentre è un vero e proprio «scandalo» vedere questi «cuori chiusi» nei confronti di profughi e rifugiati. «Accogliere», ha ribadito Francesco, perché un continente che si chiude rischia di morire. Tuttavia è stata «integrare» la parola che ha ripetuto più volte il Papa in risposta alle domande dei pastori, alcuni dei quali - in particolare quelli del Sud Italia - hanno avuto una sorta di sfogo con il Pontefice nel chiedergli come agire di fronte alle emergenze migratorie.

«Integrare», perché altrimenti ci si ritrova punto e a capo. Papa Francesco ha spiegato che è compito di ogni vescovo occuparsi di queste delicate situazioni, in base anche alle forze e alle esigenze di ogni diocesi, ma che come Chiesa italiana bisogna dare un segnale di apertura. Certo poi, ha affermato, tocca anche all’Europa trovare un modo per ridistribuire questo enorme flusso di persone.

Un vescovo ha domandato se fosse il caso di individuare una «voce unica come episcopato» che intervenga e coordini la questione migranti. Ma sarebbe una soluzione complessa, che aprirebbe tanti altri scenari. Magari se ne potrà parlare nei lavori di domani mattina dopo la prolusione del cardinale Bassetti. Lì, durante le relazioni dei vescovi, si affronteranno questioni più “interne” alla Conferenza episcopale. Anche se un vescovo meridionale dice di volersi togliere un sassolino dalla scarpa: «Il ministro Salvini ha detto che ha tanti vescovi e cardinali italiani che gli dicono “vai avanti, continua così” ma di non dirlo in giro. Ecco, io vorrei sapere chi sono, per una questione di trasparenza e anche per capire come si può dare sostegno a certe politiche».

Questioni a margine, come detto. Nel dialogo con il Papa certi temi sono stati lasciati fuori la porta e si è dato ampio spazio, naturalmente, a problematiche ecclesiali. Una su tutte: i tribunali diocesani. «Il Santo Padre non vuole tribunali regionali, ma che ogni diocesi sia dotata di uno», spiega un monsignore un po’ di corsa. E per le diocesi che non hanno le capacità di istituirlo? «Si fanno dei tribunali inter-diocesani».

Il Papa ha affrontato anche il nodo degli abusi, alla luce del motu proprio dello scorso 9 maggio “Vos estis lux mundi” (“Voi siete la luce del mondo”). Con questo documento si cammina verso «la verità» e la serietà dei provvedimenti contro chi ha sbagliato, ha detto, senza spietatezza però. Anzi, ha raccomandato il Papa ai vescovi, bisogna fare attenzione alle denunce anonime: «Quelle meglio buttarle nel cestino». Ogni informazione contro i sacerdoti vanno vagliate e verificate prima di procedere.

Con la stessa fermezza il Pontefice ha chiesto ai pastori di essere degni di questo nome, quindi di «accompagnare» i fedeli, in particolare i giovani, di essere «concreti» nei loro interventi sul sociale, di essere «padri», soprattutto con i presbiteri, perché «non c’è Chiesa senza il vescovo». E la Chiesa deve essere missionaria, non «seduta», ha aggiunto il Pontefice, puntando sulla «sinodalità» e la «collegialità». Proprio in virtù di quest’ultimo punto è tornato il discorso sull’accorpamento delle diocesi che ancora lascia perplesso qualche vescovo. Per il Papa è un processo che si deve compiere «con gradualità» facendolo partire “dal basso”, cioè tra gli stessi vescovi, in armonia.

Più volte le parole del Vescovo di Roma sono state interrotte dagli applausi. La maggior parte dei presenti riferisce di un clima «sereno e fraterno». E pensare che il discorso pubblico del Pontefice era sembrata quasi una “strigliata” alla Conferenza episcopale. «Ma no, siete voi giornalisti che leggete le cose in questo modo», scherza un giovane vescovo. «Il Santo Padre parla con noi come noi parliamo con i nostri sacerdoti, se ci sono delle mancanze vanno sottolineate». 

Nonostante gli impegni Francesco ha voluto infine salutare uno ad uno i presenti. Poi, uscito nell’atrio dell’Aula Paolo VI, dopo un breve scambio di battute con il cardinale Bassetti, si è incamminato da solo verso Santa Marta sfidando il vento quasi invernale di questo strano maggio romano.

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